Afterhours @ Atlantico
- 🌑🌒eclissidistorta🌘🌑
- 23 mar 2017
- Tempo di lettura: 2 min

La musica che ci segna spesso è legata alla ionizzazione dei nostri ricordi o alle rifrangenze dei nostri amori; alcune canzoni però hanno il potere di farsi ricordare sin dalla prima volta.
Con gli Afterhours è stato tutto questo, sono e saranno sempre un mantra in alcuni momenti, e ne ricordo anche la prima volta in cui li ascoltai.
I miei momenti di emancipazione intimista da piccola prevedevano salire nella torre d'avorio (la camera isolata al piano di sopra), e mettere su un album scelto dalla collezione di mio fratello.
Un giorno mi ritrovai tra le mani due album, erano "Germi" e "Hai paura del buio?", ricordo che mi rimase impressa la dicotomia tra le due copertine. Alla fine scelsi "Hai paura del buio" ed entrai in doccia. Ricordo ancora che nel getto d'acqua, alcune frasi come saette mi fecero aprire gli occhi e pensare. Poi lo riascoltai, ed ascoltai anche tutto il resto.

La musica degli Afterhours nel percorso di un fan è cangiante rispetto alla stagione che vive;
i testi, in una fase adolescenziale sono stalattiti di consapevolezza usate come pugnali di furore nella catabasi verso l'equilibrio.
Crescendo, questi testi che sono dei fiori di loto che diventano cinici salmi, perchè si sa che il cinismo è l'ultimo baluardo dei romantici
Durante il concerto romano all'Atlantico Manuel appare in tutto il suo fulgido nichilismo da Decadandy, poetico e mordente, accanto a lui spiccano un eclettico Sōhei armato di violino (Rodrigo D'erasmo), ed un marziale Dellera: sussiegoso ed impeccabile.

Lo spettacolo offerto ha perfettamente bilanciato l'insaziabile voglia dei primi Afterhours, alla nuova guardia di canzoni, sintetizzando al massimo la loro discografia che diviene un bildungsroman.
Ed io ho cantato, vibrato insieme alle loro corde, pianto insieme alle mie proiezioni e pogato insieme a tutti quegli sconosciuti nell'empatia della veemenza.
Comments