Il peso dell'INDIE
- 🌑🌒eclissidistorta🌘🌑
- 25 dic 2017
- Tempo di lettura: 8 min

Non troverete risposte ma speculazioni
perché la musica è già la risposta.
Il paradosso probabilmente nasce a monte.
Quando si viene al mondo tutti coloro che ti circondano provano a farti scoprire il mondo facendoti distinguere una cosa dall'altra. Poi ti lasciano alla vita vera, in mezzo ai lupi. Scopri così che i lupi formano un branco e i branchi sono tutti diversi, ma i componenti del branco, quelli sì, sono omologhi tra di loro e questo è il loro modo di distinguersi.
Tutto viene catalogato e assoggettato con l'intento di renderne più semplice la comprensione, eppure il più delle volte non si fa altro che creare idiosincrasie.
Ho sempre avuto dei problemi con le etichette, le ho sempre trovate vacue; andando avanti e allargando il raggio ho pensato che anche gli stessi generi musicali fossero sommari e forzati come definizione.
Me ne accorsi nel mio non riuscire a concepire insieme, nello stesso calderone chiamato Grunge : Nirvana, Pearl Jam, Soundgarden, Pixies, Mudhoney, Smashing Pumpkins, Stone Temple Pilots ...
Io rimanevo in bilico tra "Bleach" dei Nirvana e "Come on Pilgrim" dei Pixies, non cogliendo il perché dovessi vederli sotto la stessa campana.

Eppure quando sentivo nominare tali band all'istante e con risolutezza mi veniva risposto che si trattava di: "Un gruppo grunge [...]".
Ma forse quel fermento di Seattle, la nuova Liverpool, aveva solo bisogno di un nome per dimostrare al mondo di esistere, in un contesto storico in cui la musica era veramente la cassa di risonanza di un disagio generazionale.
La musica è sempre stata un po' questo. E lo abbiamo appurato con il Cantautorato italiano che rappresentava la volontà della gente di accordarsi gli uni con gli altri, creando una collettività, un sentimento comune che sfociasse in un inno.
Poi, pian piano, questo esistenzialismo, con l'aumentare delle voci al suo cospetto, si è sfumato fino ad un sentimentalismo dalla trama emotivamente postmodernista.
Parafrasando, se dapprima la musica era la convergenza di più voci in un'unica identità, con il tempo queste identità, questi ascoltatori, sono diventati "pubblico", un pubblico che vuole in scena menestrelli che cantino della propria individualità, dove per propria si intende di chi ascolta, che sia chiaro.
Da questo trae linfa e critiche ciò che viene definito Indie.

Per molti è quindi inaccettabile sentire la vicina di casa cantare sguaiatamente "Completameeeente", tanto meno accettare che la mamma dica che le piace Coez o peggio vedere che ai concerti ci siano adolescenti. E non importa se queste "categorie" i dischi li comprano, nell'immaginario di questa fetta di pubblico, gli altri questa musica non la capiscono, non la meritano, e se la capiscono significa che la band di turno si è venduta al miglior offerente piuttosto che continuare ad accettare la questua di chi la musica la supporta solo scaricando o nel migliore dei casi usa Spotify, dove con lo streaming di una canzone con un account premium dona 0,6 centesimi di euro all’artista, mentre un ascolto free vale 0,1 centesimi di euro. Sembra secondario capire che la musica sopravvive grazie ai consensi ma vive di vendite.
Sembra che la scena indie, se esiste, stia vivendo ciò che accade con una certa fetta di pubblico del Rap per cui un'artista è vero solo se resta nel ghetto, ed in Italia il ghetto è una nicchia di ascoltatori che inveiscono contro chi ascolta il rap commerciale mentre osanna i propri idoli di strada. Passare però dalla strada al palcoscenico è un crimine: più consensi meno onore!
Vi siete mai chiesti cosa sia l'Indie?
E vi siete chiesti quanto abbia senso chiederselo?
Dove avete cercato le vostre risposte?
Sicuramente in molti si saranno rivolti a Wikipedia:
"[...] associato a un artista o a un gruppo che non fa parte della cultura mainstream o che fa musica al di fuori dell'influenza della stessa. Sebbene lo stile musicale di questi gruppi possa variare molto, tale associazione deriva, infatti, da un atteggiamento tipo "fai-da-te" e dall'abilità di lavorare al di fuori delle grandi corporations. [...] Più comune in Italia è la definizione "indipendente" per identificare tale approccio, preferendo usare il termine indie per definire un genere musicale vero e proprio, comunque spesso associabile a un approccio indipendente a livello di etichetta discografica".
Una definizione che riesce ad essere esauriente ma non esaustiva, poichè parla dell'intenzione e non di ciò che poi alla fine è, anche qui si parla del “dover essere” e non dell’ ”essere” concreto.

Sembra piuttosto che ci siano solo certezze su cosa non sia Indie ma non su ciò che sia.
Credo sempre più fermamente che il pubblico non abbia la più pallida idea di cosa cerchi nella musica, pretende autenticità ma non accetta il cambiamento, osanna gli artisti ma li vorrebbe lontano dai riflettori, incappa nelle mode ma non accetta che gli artisti lo diventino.
Se prima la musica era una balera in cui condividere un sentimento, ora si pretendono solo serenate.
In questo proliferare di lauree ad honorem in critica musicale da Spotify premium, spesso si perde di vista il fatto che la musica appartiene a tutti ma è comunque la dote di chi la scrive.
Quindi ciò che non mi spiego è: com'è possibile che si chieda autenticità musicale se poi si pretende che questa rispecchi le nostre aspettative? Come se gli artisti debbano necessariamente scrivere la nostra biografia.
Piuttosto che trarre conclusioni io lascerei a chi la musica la incarna e non la pretende una domanda secca e affatto semplice:
"Che cos'è l'Indie?"
Leo Pari: "Niente"
Galeffi: "Boh stai parlando con la persona sbagliata. Lo sai cosa penso dell'indie. Indie non è niente, è il circuito in cui una minoranza della gente ci colloca, ma la musica è fatta solo da canzoni, le canzoni sono belle o brutte la definizione sta lì non nell'appartenere ad una corrente"
Giorgio Poi: "Ci ho pensato ma non so cosa sia l'indie. L'indie è l'occhio del Propoli"
Gemello: "Non lo so , non so come rispondere. Però mi piace la musica Indie"
Zibba: "L'indie non lo saprei più definire, è un modo di fare altro
suppongo, un rifugio dalla musica che si suona addosso. E' come se fosse un mondo musicale parallelo dove le debolezze hanno ragione, e dove trovano rifugio in molti. Il pubblico spesso non sa cosa sia, credo lo percepisca come una forma di punk attuale".
Lucio Leoni: "Un fenomeno di costume, lo capiremo tra 10\20 anni"

Alessandro Morini (Mary in June): "L'indie avrebbe dovuto abbracciare un po' l'etica del do it yourself, creando così un circuito di produzioni e distribuzioni alternative a quelle del mainstream. Negli ultimi anni quest'etica ha preso direzioni diverse, c'è stato un rilevante cambiamento. L'indie è stato in qualche modo contaminato dal mainstream e/o viceversa. La mia visione è proprio questa, non si ha più una collocazione ben precisa di quest'ultimo. In alcuni casi può essere un bene, in altri non del tutto".
Giuliano Leone (Radio Rock):
"L'indie dovrebbe essere qualcosa di completamente diverso da quello che poi è diventato. Adesso suonano tutti nello stesso modo con un lirismo molto simile, tutto fine a se stesso senza grossi spunti come si poteva immaginare. L'indie è indipendenza, quindi uscire da tutti gli schemi, creare un'identità propria, ma ora non succede più dato che sono tutti uguali. Comunque è una delle domande più difficili al mondo"
Scarda: "Per me Indie non è una parola che individua un genere musicale, tanto meno può essere la definizione per tutta la musica che non è prodotta da una major, quindi non viene subito meno come appellativo quando un'artista passa da Pipparella Dischi a Universal. Io credo che tutta la musica etichettata come indie abbia in comune il fatto di provenire dal basso, dal pubblico, da una cerchia di consensi che a volte costituisce la tua legittimazione a pretendere un posto nello scenario musicale. La differenza con il mainstream sta quindi nel fatto di non essere una cosa che si manifesta dall'alto, tipo direttamente su RTL ecco"

Giovanni Romano (Radio Sonica): " [...storigrafia dettagliatissima...]
Adesso cosa è indie e cosa non è indie? Dipende dalla concezione che tu hai del termine. L'indie è già passato da genere a modo di essere, ora è di nuovo un genere, questo è il movimento indie, le sonorità sono indie. Bisogna distinguere l'atteggiamento indie dalle sonorità. Essere Indie significa essere in grado di avere una visione musicale basata esclusivamente sui propri gusti musicali. E che sia personale, senza calcoli, tornaconti o altro. Senza ipoteticamente un pubblico a cui vendere. Senza stare a pensare al modo giusto di fare qualcosa. Semplicemente suonare o cercare di farlo in modo da essere la propria band preferita".
Igor Pardini (Cubo Rosso Recording³) : "È tutta la musica prodotta da etichette indipendenti che non siano major. prima era tutto più semplice perché c’era una maggior distinzione di genere e l’indie era l’underground. Capisco che ora si storca di naso, ma la musica evolve, le contaminazioni anche, e ora che le major hanno capito che possono fare soldi seguendo i gusti anziché crearne nel pubblico, attingono alla musica indipendente. Quindi il genere “indie” è molto confuso, forse non c’è neanche una definizione da dare, capisco che si storca di naso, ma la musica evolve, le contaminazioni anche.

Negli Usa la divisione è molto più facile forse perchè c’è più pubblico sia a livello numerico sia a livello di genere, in Italia è poco definibile una scena indie nel senso che tutto quello che è partito indie è poi diventato mainstream. Penso non possa far che bene una contaminazione fra il mondo dell’indipendente, della musica “viva” e il mainstream. Nove mesi fa usciva SuperBattito di Gazzelle, davanti ad 800persone al Monk, disco prodotto nel mio studio e un anno dopo (marzo 2018) andrò a vedere una doppia data all’Atlantico che molto probabilmente accoglierà 8000 persone che canteranno quelle canzoni, parliamo di una cifra da Palalottomatica! A distanza di un anno dall’uscita, cazzo, dai è eccitante osservare queste possibilità no? Speriamo continui così, che il pubblico decida sempre. Tra "Amici" di Maria e TheGiornalisti preferirò sempre Tommaso Paradiso e soci".

Riccardo De Stefano (ExitWell) :
"In un mondo ideale, “indie” avrebbe una sola definizione. In Italia tutto diventa complesso: le parole si intorcinano, si spezzano e ricompongono a caso e diventano polisemiche al limite dell'incomprensibile. “Indie”, quindi, significa in larga misura tutto quello che non viene considerato mainstream. Cos'è il mainstream allora? Quello che viene conosciuto tramite i canali tradizionali, quali radio ma soprattutto tv. Un artista è mainstream se lo conosce tua madre. Altrimenti è indie. Che poi sia realmente indipendente o meno non importa: indie è la serie B della musica, la palestra e la gavetta per vedere se il dato artista riesce a fare i “big money” anche senza gli investimenti (ammesso che esistano ancora) delle major. Se abbia o meno una valenza positiva o negativa, non si può più dire: non è più una scelta, essere indie, ma una necessità. Incidentalmente, riguardando artisti e musicisti provenienti da un circuito live cittadino, questo è andato a coincidere più volte con affinità stilistiche e musicali, riunite in “bolle” (o “scene”) che sono assimilabili, seppur distinte, riunite sotto l'egida di questo termine cappello.

Indie significa musica ancora da scoprire, da diffondere e da dare in pasto al grande pubblico – se ci sono le condizioni adatte. Il che nasconde di conseguenza tante cose incredibili e tanta roba scadente. L'importante è avere le orecchie aperte e la mente lucida".
Questa domanda in realtà se la poneva Emanuele Colandrea quando nessuno se lo chiedeva:
Quello che penso io?
Vi interessa ancora?
L'indie non esiste, è una pretesa o un pretesto.
Per la musica le parole hanno senso solo in melodia, tutto il resto sono forme di inquisizione dettate dall'inettitudine della mitomania.
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