Est - egò
- Sara Di Iacovo
- 23 feb 2017
- Tempo di lettura: 4 min
Ci sono giorni in cui ricerco nella musica ricordi o cantucci di familiarità, altre volte invece, assetata di curiosità da sperimentazione cerco musica sconosciuta. Accendo Spotify e cerco sulla base dello stato d'animo e spesso devo dire che, quando cerco musica internazionale, ci prende molto.
Ma a volte ho bisogno di musica italiana, la amo da sempre , ma quello che mi perplime è l'inclinazione presa dai nostri conterranei: spesso troppo minimalisti ed elettronici e dadaisti nei testi; e troppo spesso di un album italiano è raro che mi piacciano tutte le tracce, nonostante a volte abbiano delle fascinose mosche bianche all'interno.
Poi un giorno una cara amica mi ha detto: "devi assolutamente ascoltare gli Est-egò". L'ho presa in parola e li ho ascoltati rimanendone affascinata.
Gli Est-Egò sono uno stato d'animo sussurrato su melodie arpeggiate e scanditi da battiti da cardio-rullante.
I testi sono ermeticamente fluidi e visionari, e questa miscela devo dire che oltre ad avermi stupita mi ha appagata.
Una canzone nasce dalla melodia o dalle parole?
Una canzone ha un suo processo generativo spontaneo, naturale.
Il brano può nascere da un'improvvisazione collettiva o può essere scritto chitarra e voce in camera da letto, ma esiste sempre una sorta di metafisica connessione tra l'istintivo approccio a una germinale intuizione creativa al suo stadio più grezzo ed il risultato finale. Abbiam notato questo. E' spaventoso per quanto irreale.
Una volta abbozzato uno straccio di tessuto strumentale molto spesso aprendo la bocca senza pensarci escono spontaneamente fonemi aggrappati ad una qualche armonia spuntata da chissà dove. Nel giro di alcuni secondi da quei suoni prendono forma le prime parole e si inizia a ragionare in una qualche direzione: ecco che nasce una frase, un'immagine chiave attorno alla quale si armonizzerà tutto il resto del testo.
Sostanza, significati, suoni delle parole e registro derivano da un primo input intuitivo e spontaneo. Chiuso il testo nella sua totalità a volte ci si rende conto di come questo “suoni” in armonia con la parte strumentale, sia a livello fonetico che sul piano delle immagini e delle storie raccontate.
Quando funzionano si ha quasi la sensazione che le canzoni siano già state scritte, impacchettate e stipate in qualche posto intangibile per poi essere pescate dal pensiero e rese concrete. Probabilmente sono il frutto di tutto ciò che abbiamo ascoltato in vita ed elaborato inconsciamente. Stanno lì in attesa di essere scoperte.

Dove finisce la musica ed inizia l'autobiografia dei vostri pezzi?
Per ognuno di noi l'esecuzione di un brano è causa dell'affiorare dei ricordi più disparati, ricordi legati probabilmente alla fase di scrittura.
Suonare un nostro pezzo è la ricorrenza intima di qualche avvenimento, di un periodo della nostra vita, di un odore, di un amore, di un viaggio, di una litigata, di una notte in bianco.
Una serie di visioni confuse del passato si tramuta in un'unica disordinata sensazione che coviamo nello stomaco.
Ogni canzone è impregnata di tutto quello che ci attanagliava in un dato momento della vita. Capita a volte di ricordarsi dal niente di particolari, fatti e discorsi apparentemente privi di importanza. Le canzoni fanno riemergere tutto questo in maniera random.
Mentre le suoni su un palco lontano da casa ti viene in mente cosa avevi mangiato l'otto luglio di due anni prima all'ora di pranzo.
In un testo si può raccontare quel che si vuole, ma i significati personali di un brano sono legati inevitabilmente anche a queste dinamiche interne a ciascuno di noi.

In quale luogo, paesaggio vorreste ascoltassero le vostre canzoni?
Qualcuno ci ha confessato di aver avuto eccellenti prestazioni sessuali col nostro disco in sottofondo, quindi in teoria qualsiasi auto munita di autoradio va bene.
In alternativa una stazione spaziale, o in cuffia, mentre si aspetta il pullman ad una fermata desolata, in una notte freddissima, da soli e col cellulare scarico. In una casetta sull'albero.
On a solitary beach.
Seduti in poltrona con un bicchiere di rosso. Mai in un supermercato.
Cosa vi augurate?
Di non sembrare stupidi con questa risposta. I nostri brani sono uno dei pochi sistemi che abbiamo per esternare fantasie e immaginari che ci stuzzicano da quando eravamo bambini.
E se l'apocalisse non fosse altro che uno scontro tra razze aliene con in mezzo il futuro della civiltà umana?
E se la morte consistesse nella sopravvivenza della nostra mente in uno stato simile al dormiveglia dopo aver fatto l'amore?
E se fossimo noi ad attirare con desideri non dichiarati e non ammessi quello che ci accade ogni istante? E se l'evoluzione ci portasse a sviluppare dita lunghissime, occhi minuscoli e culi callosi per l'ottimizzazione di una totale simbiosi uomo-computer?
Vogliamo raccontare queste visioni da ragazzino appassionato di film di fantascienza e speriamo di entrare in armonia con l'analoga fantasia di qualche ascoltatore che condivida il fascino di certe suggestioni.
Non vogliamo perdere la spontaneità naive che caratterizza le nostre creazioni e desideriamo continuare a lavorare trattando temi, note e suoni che realmente ci appassionano, che siano in grado di scatenare le stesse sensazioni in anime affini alla nostra.

Con chi vorreste collaborare?
Amiamo la scena musicale “emergente” torinese e i suoi personaggi.
Col prossimo disco ci piacerebbe coinvolgere il più possibile queste personalità ottenendo dalle caratteristiche peculiari di ognuno la fibra di una trama che vada a completare il brano, compatibilmente con le esigenze sonore e stilistiche del pezzo.
E' molto difficile che le due cose si possano sposare concretamente, soprattutto perché lavoriamo con generi molto diversi rispetto ai tanti musicisti che conosciamo, ma non escludiamo qualche featuring.
Per i prossimi live invece l'obiettivo è quello di affinare lo spettacolo avvalendosi anche di artisti estranei alla musica. Abbiamo già collaborato con un video artist per l'ultimo concerto a Torino, vedremo cosa ci riserva il futuro.

La band, sotto etichetta NoeveRecords del sofisticato Daniele Celona, fonde suono e significato nel suo nome : un gioco fonosimbolico che ha come denominatore comune l'idea di qualcosa di vagamente esotico e stravagante, frizzante.
La mia socia Veronica Satti (figlia di Bobby Solo) li ha già incontrati (ed ascoltati) ai Giardini Luzzati di Genova. Dopo una giornata sui tetti a Balcony tv, (e qualche birra) nasce un simpatico gioco relativo al disco dalle tonalità rosa capezzolo come le abbiamo definite, insomma comprate il disco è trovate la vostra tonalità.
io invece li aspetto a Roma il 10 aprile allo Yellow Bar, ma le date del tour potrebbero portarli anche nella vostra città.

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